TRA '800 E '900: LA FINE DEL POSITIVISMO...
L’Ottocento è un secolo di grandi cambiamenti, sia a livello culturale
che economico. Grazie al fenomeno dell’industrializzazione si sviluppa infatti una forte fede nel progresso, nella scienza
e in particolar modo nella ragione scientifica, la quale rappresenta lo strumento che può consentire all’uomo di conoscere
e dominare la realtà. Queste caratteristiche vengono riassunte nel termine positivismo, il quale indica proprio l’ottimismo
nutrito verso la moderna società industriale, oltre che la fede in ciò che è concreto e utile, anziché astratto e metafisico.
Nel tardo ottocento però questo clima culturale va ad intrecciarsi con una nuova sensibilità, pressoché opposta al positivismo
stesso, in quanto contrappone alla fiducia scientifica, i concetti di crisi e decadenza, i quali sorgono soprattutto da una
mancanza di fiducia sul fatto che scienza e tecnica possano dominare il mondo.
Sulla base di questa crisi generale, si sviluppa un vero e proprio filone,
grazie anche all’uscita di un articolo di Ferdinand Brunetiere, il quale enuncia i segni di quella che lui definisce
“banca rotta della scienza”. Più tardi, molti altri sono gli intellettuali che si esprimono, definendo il fenomeno
con termini estremi: dal crepuscolo di Wagner al tramonto di Spengler, viene narrata la fine non di una civiltà ma della civiltà.
- In campo scientifico, a mettere oltremodo in dubbio l’oggettività
e la verità dettate dal Positivismo, sono proprio le nuove teorie scientifiche, come la relatività di Albert Einsten (che
demolisce l’assolutezza dei concetti di spazio, tempo e velocità) e il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg
(che smentisce il calcolo perfetto della posizione e della velocità di una particella elementare).
- In campo filosofico si sviluppa l’irrazionalismo, tendenza a giudicare
la ragione insufficiente a interpretare la realtà e ad affidarsi a forze quali istinto,sentimento e intuizione. Accennato
già nell’800 da Schopenhauer e Kierkegaard, l’irrazionalismo trova ampio spazio con Freud e Nietzsche. Il pensiero
di Nietzsche si basa sul relativismo e soprattutto sul nichilismo, la tendenza a negare in modo radicale l’esistenza
di un qualsiasi valore in sé come di una qualsiasi verità certa. Su questa base
egli annuncia,nell’opera “Così parlò Zarathustra”, la morte di dio, ossia la fine delle certezze e dei valori
assoluti da sempre affibbiati alla figura di dio. Tuttavia quello di N. non è un nichilismo passivo (arrendevolezza davanti
all’insensatezza del mondo) né attivo (mettere in discussione i valori senza porne di nuovi). Il suo è un nichilismo
radicale, ossia egli nega i valori attuali e ne pone di nuovi. Infatti il superamento del rifiuto arriva grazie al superuomo,
incarnazione assoluta della libertà e della volontà di potenza, colui cioè che potrà sottrarsi al destino della decadenza
e proporsi quale rifondatore della storia dell’umanità. D’altro canto il pensiero di Sigmund Freud, fondatore
della psicoanalisi, è incentrato sulla soggettività umana. Egli afferma che la psiche umana è divisa in quanto alla sua parte
cosciente (l’io) va ad affiancarsi una zona di incoscienza detta inconscio (fuori dal controllo). Questa teoria va a
distruggere la convinzione dell’unità dell’anima e della possibilità di conoscere a pieno ogni carattere. Tuttavia
Freud trova proprio nella psicoanalisi, lo strumento per conoscere e curare la psiche umana.
- In letteratura, importante è la nausea di Sartre, un’opera scritta
sotto forma di diario filosofico, nel quale il protagonista Antoine Roquentin, analizza la sua esistenza scorgendola priva
di avvenimenti reali. Il mondo esiste senza giustificazione, è gratuito, non ha senso. Allo stesso modo l’esistenza
è assurda in quanto ingiustificabile, contingente e priva di scopi. Nasce così la nausea, quella sensazione di fastidio e
disgusto verso la realtà e verso le altre persone (gli sporcaccioni). L’impossibilità di una conciliazione tra l’io
e gli altri,espressa dall’affermazione “l’inferno sono gli altri” (contenuta nell’opera teatrale
“a porte chiuse”), porta all’indifferenza, all’assenza di motivazioni valide. Sartre riassume il concetto
nell’affermazione “Ogni esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione”.
(la nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro,sulle bretelle,dappertutto attorno a me. Fa tutt’uno col caffé,son
io che sono in essa” .
*Moravia: (1907-1990) nasce a Roma da una famiglia tipicamente borghese.
Malato di tubercolosi ossea, lascia gli studi regolari, continuandoli però in forma di autodidatta. Dopo un aggravamento della
malattia, egli inizia a scrivere romanzi, tra cui gli Indifferenti, considerato il suo capolavoro. Stesso successo porterà
la noia, romanzo che tocca il tema esistenziale. Pubblicato nel 1960, l’opera narra il senso di noia dello stesso protagonista,
Dino, che sfugge e si rifugia in essa in modo alternato. Moravia intende con il termine l’inadeguatezza/scarsità/insufficienza
della realtà, il non riuscire a stabilire un vero rapporto con gli oggetti e le persone che la animano. Un’interruzione
della corrente elettrica in casa: un momento tutto è chiaro e un momento tutto è buio e vuoto. Nel vuoto crescono la perdita
di vitalità, l’incomunicabilità e il distacco da oggetti e persone. La noia non è opposta al divertimento, ma tanto
quanto esso, è un tentativo di evadere, di distrarsi/dimenticare.
CITAZIONI MORAVIA:
*In principio, dunque, era la noia,
volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l’acqua, gli animali, le piante, Adamo
ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Idio si annoiò di loro e li
caccio dall’Eden.
*Soprattutto quando ero bambino,
la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri, che io ero incapace di spiegare e che gli altri, nel caso
di mia madre, attribuivano a disturbi della salute o altri simili cause.
*Il sentimento della noia nasce in me da quello dell'assurdità di una realtà,
come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza.
NATURALISMO
Il naturalismo è un movimento letterario che nasce in Francia sulla base
del pensiero positivista (,darwinista e determinista). Esso necessita di descrivere la realtà psicologica e sociale con gli
stessi metodi adottati dalle scienze naturali, riproponendo quindi un’autenticità priva di mistificazioni e abbellimenti.
Sulla base di questi presupposti scientifici si delinea la narrativa naturalista, caratterizzata dal distacco tra il narratore
e i personaggi (sguardo oggettivo) e dalla trattazione di temi antiidealistici e antiromantici, utilizzati spesso come base
di una forte denuncia sociale (risultato dell’osservazione,ovviamente oggettiva,dei fatti). I temi principali dunque
sono:
-
la vita quotidiana
nella sua semplicità, ipocrita e meschina;
-
le passioni
morbose al limite della patologia psichiatrica (follia, crimine);
-
la condizione
di miseria delle classi subalterne, chiaro esempio di patologia sociale (prostituzione,delinquenza..)
Nello specifico la poetica naturalista nasce e progredisce grazie allo studio
di alcuni intellettuali:
*Hippolyte Taine, che riconduce i fenomeni spirituali (“opera d’arte”)
a tre fattori: la race (fattore ereditario), la milieu (fattore ambientale-sociale) et le moment (fattore temporale-storico);
*Gustave Flaubert (autore di “Madame Bovary”) che introduce la
teoria dell’impersonalità (mancanza dell’intervento dell’autore) e l’uso del “discorso indiretto
libero”;
*I fratelli Goncourt, noti per il loro interesse verso gli ambienti sociali
inferiori, descritti minuziosamente nei loro romanzi;
*Guy de Maupassant (autore di “Bel Ami”), abile nel descrivere
la vita quotidiana nel suo volto ipocrita e paradossale;
*Honoré de Balzac,che nella sua “Commedia Umana” descrive in
maniera scientifica le forme patologiche dei personaggi;
*Emile Zola (vero iniziatore del movimento) che nei suoi scritti tratta spesso
casi patologici di tipo ereditario (il protagonista di “Germinal”, a causa dell’alcoolismo dei genitori,
ha attacchi d’ira irresponsabile); Inoltre Zola si caratterizza per la sua costante denuncia sociale, per l’osservazione
partecipe delle condizioni di miseria nelle miniere e soprattutto per il grande apporto dato alla teoria del romanzo sperimentale,
di cui fissa i principi nel “Il romanzo sperimentale”. Secondo Zola lo scrittore:
- deve osservare e riprodurre la realtà in modo oggettivo, analizzando i
nessi di causa-effetto;
- deve utilizzare una scrittura di tipo neutro-oggettivo che non lasci trapelare
pensieri personali o emozioni;
- può contribuire infine,attraverso la letteratura,allo sviluppo sociale
e culturale dell’umanità (valenza di riscatto sociale).
VERISMO
Movimento letterario realista che si afferma in Italia negli anni ’70,
ispirandosi al naturalismo francese, ma apportando degli elementi originali, dovuti sia alla situazione sociale dell’epoca,
sia al differente pensiero dei suoi maggiori esponenti.
Nato a Milano, ma proprio del sud Italia, il Verismo:
*narra la vita quotidiana non più delle città industriali, come nel naturalismo,
bensì delle campagne, unico elemento di sostentamento dell’Italia meridionale.
*è caratterizzato dall’elemento regionalistico, in quanto i maggiori
esponenti del movimento, narrano il vero delle proprie regioni, rendendosi portavoce della propria gente; in Sicilia troviamo
i fondatori del Verismo: Giovanni Verga e Luigi Capuana, i quali rifiutano la subordinazione della letteratura alla scienza
(la letteratura non è un mezzo per dimostrare teorie scientifiche sperimentali), l’impegno politico e sociale dello
scrittore, ritenendo che la società non può essere cambiata attraverso l’azione del romanziere. Qui emerge il fatalismo
dei veristi che hanno una visione pessimistica riguardo allo sfuggire al fato. Essi infatti non nutrono fede nella scienza
e nel progresso, come dimostra Verga nei “Malavoglia” definendo il progresso come una valanga che schiaccia i
deboli. Egli non rigetta totalmente il metodo scientifico ma sottolinea l’autonomia necessaria dell’arte, la cui
creazione deve rimanere misteriosa, in modo da rendere impersonali tutte le opere d’arte. Oltre a Verga e Capuana in
Sicilia, troviamo Matilde Serao a Napoli (“il Ventre di Napoli”), Renato Fucini e Mario Pratesi in Toscana (“Le
Veglie di Neri” e “L’eredità”), Emilio de Marchi a Milano (“Demetrio Pianelli”), Remigio
Zena a Genova (“La bocca del Lupo”) e Grazia Deledda in Sardegna (“Canne al vento”)
VERGA
Il fulcro centrale della poetica di Verga è la necessità di usare la tecnica
dell’impersonalità, la quale prevede che “la mano dell’artista resti invisibile”, che al centro della
narrazione cioè ci sia il fatto nudo e schietto, e non le valutazioni dell’autore.
Alla base di questa concezione si sviluppano diverse tecniche:
* tecnica dello straniamento (adottata in Rosso Malpelo), che si oppone alla
caratteristica onnisciente del narratore, eclissando l’autore dalla vicenda narrata. Tutto ciò che è normale appare
in questo modo insolito e incomprensibile, in quanto presentate da un punto di vista estraneo. Con questo Verga dimostra come
sia impossibile distaccarsi dai principi dell’interesse e della forza, quindi dalla legge della lotta per la vita (collegamento
all’evoluzionismo)
* narrazione corale (adottata nei “Malavoglia”), con la quale
Verga intende abbandonare porre su uno stesso piano i punti di vista di tutti i personaggi, i quali si espongono quasi simultaneamente,
a volte riportando detti popolari, espressione non di un singolo ma di un popolo.
* discorso indiretto libero, detto libero in quanto privo del legame tra
discorso del narratore e discorso del personaggio (verbo “dire” o “pensare”). Non vi è nessun segnale
grammaticale che introduce l’uno o l’altro, per cui è non si distingue il pensiero del narratore da quello del
personaggio.
* artificio della regressione, utilizzato dell’autore per adeguare
il proprio linguaggio ai personaggi, in modo da far trasparire il mondo culturale degli stessi, anziché dell’autore.
L’autore decide quindi di celarsi (artificio) ma non di cancellarsi. Scompare cosi la figura dell’autore come
maestro di verità e moralità, visto da Verga come un giudice che applica le proprie leggi, soffocando i comportamenti e le
idee dei soggetti rappresentati. Partendo dal presupposto che la letteratura non può contribuire a migliorare la realtà, Verga
sostiene in assoluto il metodo impersonale.
* ideale dell’ostrica, che rimarca l’immutabilità della condizione
meridionale, dove non ci sono race,milieu et moment ma una pura lotta per la vita/sopravvivenza, priva della speranza in quel
progresso che travolge deboli e vincitori, vinti di domani. L’ostrica resta attaccata allo scoglio (alla propria terra,tradizioni,valori
familiari) mentre chi ha l’ardire di staccarsi dal proprio scoglio (per egoismo o vaghezza dell’ignoto) verrà
ingoiato dal mondo, pesce vorace (progresso).
* il metodo naturalista: Verga mantiene cosi l’aspetto naturalista
della riproduzione ella realtà nella dimensione del quotidiano. L’evento particolare diventa materia dell’opera
d’arte
CICLO DEI VINTI: Verga narra la vicenda umana (evoluzione dell’uomo)
attraverso l’esempio di alcuni personaggi, ognuno facente parte di un’opera diversa, che rappresentano le diverse
tappe della scalata sociale.
Si sviluppa cosi un ciclo di cinque tappe dove
· la prima tappa (costituita da “I malavoglia”) presenta
il livello basso dei pescatori analfabeti
· la seconda “ (“Mastro don Gesualdo”) presenta la
figura del contadino arricchito
· la terza (“La duchessa di Leyra”) introduce il matrimonio
della figlia di un contadino con un nobile
· la quarta (“L’onorevole Scipioni”): il figlio dei
Leyra intraprende con successo la carriera politica
· la quinta (“L’uomo di lusso”) completa il ciclo
presentando il figlio dell’onorevole Scipioni, figura dell’esteta che dilapida tutto
I MALAVOGLIA: ambientato ad Aci Trezza, narra le vicende di una famiglia
di pescatori, (i toscano) i malavoglia, gestita da un sistema patriarcale a capo del quale vi è padron ‘Ntoni. La famiglia,
colpita da una successione di disgrazie, economiche e non, esprime, anche se in modo moderato, il concetto dell’ostrica,
puro fatalismo pessimistico, che non consente all’uomo di fuggire dalla propria condizione, così come esprime il concetto
di lotta per la vita, soprattutto quando il carico di lupini andato a male diventa quasi piu tragico della morte di un membro
della famiglia. La parziale risoluzione delle problematiche familiari, rende moderato il pensiero verghiano, ma non per questo
assente.
*dimensione corale *narratore popolare interno *lotta per la sopravvivenza
*moderato pessimismo *tempo verbale imperfetto (evocativo e fiabesco)
MASTRO-DON GESUALDO: ambientato a Vizzini, Sicilia, nella prima metà dell’800,
narra le vicende di Gesualdo Motta, un uomo, appartenente alla classe subalterna (muratore), che sacrifica gli affetti per
una pura questione economica, arrivando a sposare una nobildonna e a impostare una carriera da imprenditore. Il nomignolo
mastro-don è di tipo dispregiativo, datogli dal popolo proprio a fronte di questa sua scalata sociale, causa di invidia. Il
distacco che si crea tra il mondo e Gesualdo,lo porterà ad essere schiacciato dalla sua roba, a conferma ancora una volta
della teoria dell’ostrica.
*unico protagonista *punto di vista di narratore esterno, apparentemente
oggettivo, collocato all’altezza dei personaggi (moderazione del canone dell’impersonalità; il narratore si nota
ma è discreto) * lotta per l’affermazione economico-sociale *visione pessimista
accentuata (non ammette consolazioni) *carattere dialogico attenuato
*discorso indiretto libero riservato quasi esclusivamente a M.D.Gesualdo (per amplificare l'atmosfera di solitudine
prodotta dall'individualismo borghese,sottoposto solo alle leggi del profitto
e della sopraffazione) *la narrazione dominata
da una sintassi spezzata e nervosa rende il ritmo veloce e convulso come per
l'ansia di accumulo capitalistico *tempo verbale: passato remoto
(tempo storico,definito)
ROSSO MALPELO: collocato nella raccolta “Vita dei campi”, narra
la storia di un ragazzo che lavora in una cava di rena. Taciutone il nome vero, dimenticato anche da figure quali la madre,
il protagonista è chiamato Rosso Malpelo, a causa dei suoi capelli rossi, sintomo di cattiveria e malizia, elementi che portano
ad un pregiudizio popolare. Il suo aspetto, trascurato e il suo pessimo carattere sono entrambi resi volutamente giudicabili,
soprattutto a causa dei sentimenti dei vendetta che il ragazzo cova per la morte del padre. Sulla stessa linea, egli sviluppa
un rapporto di odio-amore con Ranocchio, un ragazzo che per problemi al femore è costretto al lavoro sotterraneo. Malpelo,
seppur con durezza, insegna a Ranocchio le leggi della vita (lotta di tutti contro tutti e sopravvivenza del piu forte). In
seguito Ranocchio muore, rappresentando, insieme al trasloco della mamma e sorella di malpelo, la solitudine completa del
ragazzo, che sparisce nel sotterraneo per non tornare più. I lavoratori temeranno sempre di vederne il fantasma.
Documento storico sullo sfruttamento minorile e al tempo stesso psicologico,
in quanto delucidante riguardo alle fonti della violenza, Malpelo rappresenta l’istintività dell’umanità, del
rapporto odio-amore con le proprie debolezze, dell’ereditarietà padre-figlio di una qualsiasi condizione e ancora una
volta della strumentalizzazione degli uni degli altri.
LA LUPA: Pina,un’insaziabile voglia di perseguire l’istinto
sessuale, una figlia strumentalizzata per arrivare all’uomo desiderato, la punizione (morte) che succede un’inarrestabile
corte al proprio genero. Questo il ciclo della storia della lupa, figura demoniaca che tuttora verrebbe vista come elemento
da evitare.
LA ROBA:
Inserita nelle Novelle rusticane, la roba narra la vicenda di Mazzarò, che similmente a Gesualdo, diviene da semplice uomo
rozzo, un uomo d’affari, fermo nella sua alienazione in nome della “roba”, anche se non con quel sacrificio
di affetti, ben evidente in M.D.Gesualdo. Mazzarò sarà vittima della vecchiaia, dell’ordine naturale delle cose, che
lo porterà al distacco dalla roba, la quale, in una disperazione finale, verrà “distrutta” dallo stesso Mazzarò
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