E’ nella prima metà dell’800 che l’Italia
avvia un processo di graduale riscoperta e rivendicazione della propria identità nazionale. Questo processo, chiamato Risorgimento,
consiste non solo in una rinascita culturale e politica ma anche in un riscatto dalla condizione di servitù e di decadenza
morale. Sebbene l’Italia non avesse mai goduto dell’esperienza di Stato unitario, antica era la sua concezione
di nazione, ossia di comunità linguistica, culturale, religiosa e in parte economica. Questa visione, già radicata nel pensiero
di molti intellettuali italiani, si traduce in un’aspirazione verso l’indipendenza/unità, già presente all’interno
del movimento giacobino. Solo piu tardi essa porta al sorgere di moti rivoluzionari mirati, in quanto inizialmente essi spingono
solo sulla politica dei singoli stati e non sull’unità. La prima ondata rivoluzionaria si ha a Nola, nel napoletano
(1820) dove per iniziativa di due ufficiali carbonari, si ottiene una Costituzione dal Re Ferdinando I. Segue la cosiddetta
questione siciliana caratterizzata dalla rivolta di Palermo, la quale registra un ampia partecipazione popolare e in seguito
anche aristocratica ma viene presto domata dal corpo di spedizione mandato dal governo di Napoli. Il successo del napoletano
spinge la nascita in Piemonte e Lombardia della Federazione italiana che agendo con la carboneria, mira alla cacciata degli
austriaci dal Lombardo-Veneto e alla formazione di un regno costituzionale indipendente nel nord Italia. Mentre in Lombardia
l’ipotesi insurrezionale fallisce, in Piemonte il moto scoppia a causa dell’ammutinamento di gran parte dell’esercito
e dall’abdicazione del re Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice. Lontano dal regno egli affida il trono al
nipote Carlo Alberto che dapprima manifesta simpatia per la causa liberale ma richiamato all’ordine dallo zio, spegne
i moti a Novara. Sia nel Piemonte che nel napoletano la repressione avviene in modo radicale. Mentre a Napoli gli austriaci
restaurano il potere del re, in Piemonte si procede con le condanne dei militari ribelli e l’esodo dei patrioti. Dieci
anni dopo (1830) nei Ducati di Modena e Parma e in parte dello stato pontificio, si ha una nuova ondata rivoluzionaria, conseguenza
della rivoluzione del luglio in Francia ma soprattutto della trama cospirativa nata a Modena grazie all’appoggio del
duca Francesco IV, il quale, saputo delle intenzioni repressive degli austriaci, retrocede e fa arrestare i capi della congiura.
La rivolta però ha ormai preso piede e scoppia a Bologna per poi estendersi alle legazioni pontificie, al ducato di Parma
e infine a quello di Modena, costringendo alla fuga il duca traditore. Le nuove insurrezioni presentano novità sia nell’avere
come protagonisti il ceto borghese e aristocratico, che nella volontà di unire le insurrezioni cittadine sotto un unico moto
attraverso la costituzione di un governo delle province unite (sede a Bologna) e di un corpo di volontari col compito di marciare
verso Roma. Il tentativo è destinato a fallire a causa delle divisioni municipaliste, del contrasto fra democratici e moderati
ma soprattutto del nuovo intervento austriaco, che occupati i ducati e sconfitti gli insorti procede con le nuove condanne.
Questi fallimenti, causati dalla fiducia verso l’appoggio
di sovrani inaffidabili e di interventi stranieri ma soprattutto dall’assenza di una direzione unitaria, portano alla
nascita di veri e propri progetti repubblicani, espressi soprattutto da Giuseppe Mazzini. Ex componente della carboneria,
arrestato prima ed emigrato poi a Marsiglia, Mazzini costruisce il suo pensiero unendo l’ispirazione democratica a una
componente mistico-religiosa. Sostenitore del concetto di associazione e di umanità, egli è per la collaborazione degli individui
cosi come delle nazioni. Proprio secondo questo principio egli ammette come unico strumento per giungere all’indipendenza
l’insurrezione di popolo, inteso come totalità e non come insieme di classi. Da questo ideale nasce nel ’31 la
Giovine Italia che si propone come simbolo di continua educazione politica e come attività cospirativa chiara
e palese. Riuniti attorno al tricolore e convinti della necessità di un legame tra pensiero e azione, Mazzini e i suoi seguaci
danno il via a una serie di tentativi insurrezionali, destinati però a fallire, portando alla critica verso i metodi mazziniani
e alla nascita di nuovi orientamenti politici. Il decennio ’30-’40 trascorre nella continuazione della restaurazione
ma si caratterizza per un quasi totale immobilismo politico dato dall’opposizione a qualsiasi riforma da parte dello
stato pontificio, del Regno delle Due Sicilie e in parte dal Granducato di Toscana. Solo in Piemonte si ha qualche cauta riforma
grazie a Carlo Alberto, impegnato a cancellare i suoi passati contatti con i liberali attraverso un’orientazione clericale.
Sul piano culturale si può parlare di progresso grazie alla convocazione del primo congresso degli scienziati italiani, interessati
all’agraria, all’istruzione pubblica e all’economia. Quest’ultima si presenta notevolmente arretrata
o perlomeno caratterizzata da progressi minimi (costruzioni ferroviarie, sistema bancario, porti.. ) che sottolineano il ritardo
verso l’Europa in via di industrializzazione. Nasce cosi la consapevolezza della necessità di un mercato nazionale e
di un sistema efficiente di comunicazioni. Intanto il dibattito politico porta a una grande novità: l’emergere di un
orientamento moderato che propone come soluzione al problema italiano il conciliamento della causa liberale con la religione
cattolica (fattore di unità nazionale) ossia un’azione non violenta e graduale. Questa scuola di pensiero prende il
nome di neoguelfismo, movimento rappresentato perlopiù dall’abate torinese Vincenzo Gioberti, sostenitore (come Mazzini)
del protagonismo del popolo italiano. Egli ritiene che non si debba mirare all’unità politica quanto più ad una confederazione
fra gli stati italiani, riuniti sotto la presidenza del papa e sostenuti dalla forza militare del Regno di Sardegna. Quest’ipotesi,
non meno utopistica di quella mazziniana, si presenta agevole in quanto accontenta sia il sentimento religioso della borghesia
italiana che gli ideali morali dei rivoluzionari. Inoltre essa da il via a una serie di proposte di carattere federalistico.
In Lombardia si ha lo sviluppo di una corrente federalista, democratica e repubblicana, sostenuta dal milanese Carlo Cattaneo,
il quale, similmente ai moderati, punta sulle riforme politiche e sullo sviluppo economico all’interno degli Stati ma
con un differente obiettivo. Egli mira infatti a una confederazione repubblicana che sul modello degli USA porti alla costituzione
degli Stati Uniti d’Europa. Idem per Giuseppe Ferrari che sostiene l’inserimento del moto italiano del contesto
di una riv. europea che abbia però centro in Francia.
Nel biennio ‘46-’47 il popolo italiano vive
una stagione di intensa attesa di grandi mutamenti che raggiunge il culmine con l’elezione di Pio IX, uomo bonario e
non politicamente schierato che, concessa un amnistia per i detenuti politici, assume l’immagine di eroe. Questo lo
stimola a una serie di concessioni (consulta di stato e guardia civica) che vengono successivamente imitate anche da altri
stati italiani, escluso il regno delle due sicilie, appoggiato dall’Austria, i quali si avviano verso l’accordo
per una lega doganale italiana. Il ’48 si apre con nuove rivoluzioni, autonome rispetto al resto dell’Europa.
La prima ad insorgere è Palermo, che induce Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione nel regno delle due sicilie.
Questo atto alimenta ulteriormente l’agitazione costituzionale, costringendo Carlo Alberto di Savoia e successivamente
anche Leopoldo II di Toscana e lo stesso Pio IX a concedere le costituzioni, tutte di carattere fortemente moderato. Le vicende
della rivoluzione in Francia danno nuova spinta all’iniziativa dei democratici italiani, riportando in primo piano la
questione nazionale. A Venezia, dopo la rivolta degli operai dell’Arsenale militare, il governo presieduto da Manin
proclama la costituzione della Repubblica veneta. Cinque sono invece le giornate d’insurrezione a Milano, dove viene
costituito un governo provvisorio. Dopo la cacciata degli austriaci da Venezia e Miliano, Carlo Alberto decide di dichiarare
guerra all’Austria. Preoccupati dal diffondersi di ulteriori agitazioni, Ferdinando II (Napoli), Leopoldo II (Toscana)
e Pio IX decidono di unirsi alla guerra, dando vita alla prima guerra di indipendenza nazionale. Vita breve avrà quest’illusione,
in quanto la scarsa risolutezza di Carlo Alberto alimenta le diffidenze degli altri sovrani, i quali uno ad uno annunciano
il ritiro delle proprie truppe. Molti volontari decidono di restare ma Carlo Alberto, accecato dalle sue uniche intenzioni,
sfrutta male questi aiuti e viene sconfitto a Custoza nel luglio del ‘48;ad agosto firma l’armistizio con gli
austriaci. A questo punto gli unici a proseguire il conflitto sono gli ungheresi e i democratici italiani mentre in Sicilia
i separatisti proclamano un proprio governo e una propria costituzione;a Venezia si ha la riproclamazione della Repubblica;in
Toscana il granduca forma un ministero democratico e a Roma, dopo la fuga del papa, si vota per l’Assemblea Costituente.
Repubblica romana sarà il nome dello Stato. Questa svolta porta il Piemonte a riprendere l’iniziativa, subito fallita
a Novara. Carlo Alberto si vede costretto ad abdicare in favore del figlio, che firma un nuovo armistizio con gli austriaci.
Intanto a Genova una rivolta viene duramente repressa dall’esercito. Lo stesso accade nelle dieci giornate di Brescia
e nei lunghi cinque mesi di Venezia. Successivamente gli austriaci penetrano anche le legazioni pontificie e la Toscana. Piu
resistenza oppone la Repubblica romana mentre Pio IX
coinvolge la Francia nel suo intento di tornare a Roma.
E cosi mentre i francesi sconfiggono i repubblicani della capitale, gli austriaci vincono la resistenza veneta. Si conclude
cosi l’ultima fase della stagione rivoluzionaria del ’48.
Queste sconfitte riportano in Italia l’egemonia austriaca
e il distacco tra sovrani e opinione pubblica borghese. Questo soprattutto nello
Stato pontificio, nelle Due Sicilie e nel Lombardo-Veneto, inasprito da una forte pressione fiscale. Diversamente in Piemonte,
con lo Statuto Albertino, sopravvive l’esperimento costituzionale e continua l’opera di modernizzazione dello
Stato guidata da Massimo D’Azeglio. In questo senso positiva è l’approvazione di un progetto legge, presentato
dal ministro della giustizia Siccardi, che pone fine ai privilegi della Chiesa. Nella battaglia per l’approvazione di
questa legge emerge il conte Camillo Benso di Cavour, aristocratico e giornalista/direttore de “Il Risorgimento”.
Cresciuto all’insegna del cosmopolitismo culturale e dell’intraprendenza borghese, Cavour indirizza il suo ideale
politico nel liberalismo moderato, favorendo un sistema monarchico-costituzionale promotore di riforme. In ambito economico
egli predilige uno sviluppo produttivo,indispensabile per il progresso civile/politico,e la libertà economica. Nel governo
D’Azeglio Cavour occupa la posizione di ministro per l’Agricoltura e il Commercio ma dopo le dimissioni dello
stesso Azeglio, è lui a dover formare il nuovo governo (Presidente del Consiglio).Intanto Cavour ha già formato un connubio
(termine ironico) tra i progressisti (centro-destra) e i moderati (centro-sinistra), formando il nuovo “centro”
e spostando a sinistra l’asse del governo.
*Sul piano istituzionale lo statuto Albertino acquista
carattere parlamentare
*Sul piano economico Cavour adotta una linea liberoscambista,
abolendo il dazio sul grano e stipulando trattati commerciali con Francia,Belgio,Austria e Gran Bretagna.
*Sul piano sociale egli si occupa delle opere pubbliche,
sviluppando strade, canali e ferrovie, quindi il commercio. Il tasso di analfabetismo resta però elevato a testimonianza di
cambiamenti inesistenti nelle classi povere.
Ne consegue un Piemonte dotato di:
*Agricoltura in fase di espansione
*Industria, che seppur secondaria, è sintomo di avanguardia
*Sistema creditizio potenziato in quanto organizzato intorno
a una banca centrale
*Rete di Trasporti efficiente in quanto collegata con l’Europa
tramite il traforo di Frejus
*Scambi commerciali con l’estero
Tutto ciò testimoniava che la causa della libertà andava
a braccetto con il progresso economico
Intanto la strategia di Mazzini, in esilio a Londra, continua
a vertere sull’insurrezione popolare, con conseguenze non poco gravi. Gli austriaci procedono con la quasi distruzione
dell’organizzazione, arrestando, condannando e addirittura impiccando i membri della stessa (fortezza di Belfiore).Tutto
questo non ferma Mazzini, il quale tenta ugualmente la carta dell’insurrezione, assalendo a Milano gli austriaci, la
cui reazione repressiva si rivela immediata e vittoriosa. L’irremovibile Mazzini prosegue fondando nel ’53 il
Partito d’azione e riunendo operai e artigiani del nord. Alle sue spalle molte sono le critiche, soprattutto da parte
della sinistra tendente al socialismo. Quest’ultimo inizia a prendere piede grazie alle opere di Giuseppe Ferrari e
Carlo Pisacane, entrambi sostenitori dell’identificazione con le classi popolari. Da questa convinzione prende vita
una spedizione guidata dallo stesso Pisacane, che parte da Genova con pochi compagni per poi sbarcare a Sapri,nel Sud,dove
l’inaspettata ostilità popolare rende immediata la reazione delle truppe borboniche,che annientano i rivoltosi. Pisacane,
ferito, si uccide per non cadere prigioniero. Intanto nel Piemonte nasce un movimento indipendentista guidato da Daniele Manin,
che fin dal ’55 proponeva l’unione delle correnti sotto la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II. Quest’idea,
sostenuta da molti democratici e anche da Giuseppe Garibaldi, tornato dal Sud America, diventa un’organizzazione vera
e propria: la Società Nazionale. “Sostenere la causa sabauda perché questa sosterrà la causa italiana” questo
l’invito ai piemontesi.
Nei primi anni del suo governo, Cavour non mira all’unita
italiana,bensì all’espansione del Piemonte e alla sua trasformazione da Stato Regionale a Potenza Europea. In questo
senso egli nel ’55 accetta di far partecipare il Piemonte alla guerra che Inghilterra e Francia conducono contro la
Russia. Questo perché il Piemonte potesse partecipare al Congresso di Parigi, sollevando la questione italiana. Cosi sarà:
dopo la vittoria a Crimea, Cavour presenta al Congresso la protesta verso la presenza militare austriaca nelle Legazioni Pontificie
e la denuncia del malgoverno dello Stato della Chiesa e del regno delle due Sicilie come causa di rivoluzioni. Da questa “giornata”
Cavour trae la convinzione della necessità di un intervento francese per eliminare la presenza austriaca in Italia. Napoleone
III,desideroso di operare sull’Italia e preoccupato per le azioni mazziniane, cede totalmente alle “avances”
di Cavour dopo l’attentato alla sua vita da parte di un mazziniano (Felice Orsini). L’accordo viene firmato in
segreto nel ’58 a Plombières. Esso prevede la divisione dell’Italia in tre stati:
*Regno dell’Alta Italia (comprende Piemonte, Lombardo-Veneto
ed Emilia-Romagna ma cede alla Francia Nizza e Savoia)
*Regno dell’Italia Centrale (comprende Toscana e
province pontificie)
*Regno Meridionale (le Due Sicilie liberate dalla dinastia
borbonica)
*Papa sovrano di Roma e dintorni, oltre che presidente
della futura Confederazione Italiana.
Per realizzare tutto questo però,Cavour pensa bene di provocare
l’Austria, in modo che essa dichiari guerra. Le manovre militari al confine,guidate da Garibaldi, e l’atteggiamento
negativo da parte del Piemonte, fanno si che l’Austria ceda. Scoppiata la guerra, i franco-piemontesi hanno la meglio
sia a Magenta che nelle due sanguinose battaglie di Solforino e San Martino. In evidente vantaggio per il Piemonte, la guerra
viene bloccata da Napoleone,che spinto dal malcontento francese, propone un armistizio all’Austria. Ad essa vanno il
Veneto con Mantova e Peschiera mentre la Lombardia va alla Francia in modo da tornare poi al Piemonte. Colto di sorpresa Cavour
rassegna le dimissioni e viene sostituito dal generale La Marmora.
Intanto nell’Italia centro-settentrionale, sprovvista di sovrani, fuggiti a causa delle insurrezioni,
si manifesta la volontà di annessione al Piemonte. Napoleone III accetta il fatto compiuto mentre Cavour, tornato a capo del
governo (1860) negozia la cessazione di Nizza e Savoia. Tramite un plebiscito anche l’Emilia-Romagna e la Toscana decidono
di essere annesse al Piemonte, che diviene cosi uno Stato Nazionale. Resta però il problema legato al Mezzogiorno e allo Stato
della Chiesa. Eliminata l’ipotesi di attaccare il secondo, due mazziniani (Francesco Crispi e Rosolino Pilo) organizzano
una spedizione in Sicilia. Nel 1860 scoppia un’insurrezione popolare a Palermo, subito repressa ma estesasi alle campagne.
Accorre al sud Crispi mentre Pilo cerca l’aiuto di Garibaldi,unico leader politico affidabile del momento. Dopo alcune
indecisioni egli accetta, nonostante l’opposizione di Cavour. La spedizione (DEI MILLE), seppur organizzata in fretta,
parte da Quarto (Genova) il 6 Maggio, sbarcando pochi giorni dopo a Marsala. Dopo una piccola vittoria a Calatafimi,i volontari
raggiungono Palermo. La città insorge immediatamente dopo l’arrivo delle avanguardie garibaldine, ottenendo, dopo tre
giorni di combattimenti, la decadenza della monarchia borbonica, proclamata da Garibaldi. L’isola, ora sotto la guida
di Crispi, viene liberata completamente grazie alla sconfitta delle truppe borboniche a Milazzo (luglio). A questo punto però
i contadini, armati di fiducia, esternano il loro malcontento verso il sistema che da secoli li condanna allo sfruttamento.
I patrioti, per non alienarsi l’appoggio borghese,non possono accontentare le richieste dei contadini,le cui ribellioni
danno vita a vere e proprie repressioni (Bronte,fucilazione). I proprietari terrieri, spaventati, aspirano all’annessione
al Piemonte. Garibaldi,approfittando della benevolenza inglese,risale la penisola evitando eventuali attacchi borbonici e
sbarca a Napoli. La liberazione di quest’ultima e l’arrivo successivo di democratici come Mazzini e Cattaneo,
potrebbe significare un progetto di spedizione nello Stato Pontificio. Convinto di questo, Cavour organizza un intervento
militare per prevenire l’iniziativa garibaldina. Sotto assenso di Napoleone, Cavour invade Umbria e Marche, sconfiggendo
l’esercito pontificio a Castelfidardo. Mentre Garibaldi sconfiggeva i borbonici nel Volturno,Cavour procedeva,tramite
plebisciti,all’annessione di altri stati italiani al Piemonte. Con maggioranza quasi schiacciante, il centro e il sud
venivano annesse al Regno sabaudo. Garibaldi, annunciando la volontà di liberare Roma e il Veneto, parte per un isolamento
volontario mentre Mazzini procede all’ennesimo esilio. Nel ‘61 Vittorio Emanuele II viene proclamato dal Parlamento
nazionale re d’Italia per grazia di dio e volontà della nazione. (Seconda guerra d’Indipendenza) In Italia lo
Stato nazionale è stato possibile grazie a:
* l’iniziativa dall’Alto (politica di Cavour
e monarchia sabauda)
* l’iniziativa dal Basso (le insurrezioni e la spedizione
garibaldina nel Sud)
* la volontà popolare (plebisciti) anche attraverso quel
progresso economico che ha permesso al Piemonte di assume un ruolo egemone
* la benevola neutralità della Gran Bretagna
* l’appoggio di Napoleone III quindi della Francia,
decisiva in questo progetto
Nonostante il raggiungimento del Regno d’Italia,
restava la questione del Veneto,del Trentino,della Venezia Giulia,di Roma e del Lazio. La Destra si affida alle sue lunghe vie diplomatiche, mentre la Sinistra sostiene la guerra popolare. *Sulla questione romana si sceglie la via diplomatica
di Cavour ma solo fino a quanto Pio IX manifesta un’intransigenza che accende il ritorno dell’iniziativa di Garibaldi,
che progetta la spedizione contro lo stato della chiesa. Vittorio Emanuele è costretto a sconfessare questo progetto in quanto
Napoleone III è deciso a contrastarlo con le armi. Garibaldi viene quindi intercettato sull’Aspromonte e dopo esser
stato ferito,viene arrestato. Nel 1864 si procede con un accordo con Napoleone, la convenzione di settembre, che garantisce
il rispetto dei confini dello Stato della chiesa. La capitale viene spostata da Torino a Firenze.
*Sulla questione del veneto, l’occasione giunge dalla
proposta di alleanza militare offerta da Bismark, impegnato nella guerra con gli austriaci. Nonostante l’esercito prussiano
ottiene la vittoria, quello italiano viene sconfitto sia a Custoza,per terra,che a Lissa,per mare. Dal successivo armistizio
l’Italia ottiene appunto solo il Veneto. (Terza guerra d’Indipendenza)
Questa sconfitta suscita una crisi morale in quanto c’è
un sentimento di inferiorità dell’Italia verso le altre potenze europee e una crisi finanziaria data dalla guerra. Sussisteva
inoltre la protesta per il Trentino e la Venezia Giulia.
Questo spinge sia Mazzini che Garibaldi a riprendere le loro attività democratiche. Anche questa volta sono destinate a fallire
a causa dell’intervento dei francesi che bloccano la spedizione a Roma e sconfiggono i garibaldini a Mentana ma anche
a causa di una scarsa partecipazione popolare. L’occasione si presenta
però nel 1870 quando il governo italiano,non più vincolato alla Francia,caduta nella guerra con la Prussia, manda un corpo di spedizione nel Lazio, tentando anche un negoziato col papa,che
rifiuta. Così il 20 settembre 1870 le truppe italiane fanno il loro ingresso a Roma presso Porta Pia, accolti festosamente
dalla popolazione. Successivamente,tramite un plebiscito,si giunge all’annessione del Lazio e di Roma. Nell’estate
del ’71 Roma diviene la capitale italiana. Il papa viene assicurato,tramite la legge delle guarentigie,dei suoi privilegi.
Viene ribadita la libertà della Chiesa che guadagna capacità di influenza. Tutto ciò non placa Pio IX il quale,nel ’74,pronuncia
la formula del “non expedit” (non opportuno,non giova), la quale vieta ai cattolici di partecipare alle elezioni
politiche. In questo modo maggiore diviene la spaccatura tra Stato e chiesa e maggiori divengono le fratture della società
italiana.
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